mercoledì 17 giugno 2015

Francesco Datini: il mercante di Prato

di Alberto Bonaiuti

Un Francesco Datini meno conosciuto. Che cosa c’era dietro al ricchissimo mercante pratese? Com’era l'uomo Francesco Datini? Dalle corrispondenze private, appare un personaggio straordinariamente contemporaneo, afflitto dalle nostre stesse ansie e paure, sempre proteso a programmare il futuro, per niente fatalista e perennemente in lotta per coniugare affari e famiglia.

Immagine - Statua di Francesco Datini
Statua dedicata a Francesco Datini in Piazza del Comune

Eccellente mercante ma mai contento. Amante della terra, si costruì una villa-fattoria al Palco (in seguito passato a convento e oggi meglio conosciuto come Villa dal Palco), con tanto di bestiame, ulivi, viti.

Nei rari momenti liberi che l’attività di mercante gli lasciava, Francesco Datini si occupava delle varie operazioni della vendemmia, al travaso del mosto nelle botti, alla frangitura dell’olio e alla vendita di parte di esso.
Come si direbbe oggi il mercante di Prato, era un uomo a 360 gradi; o meglio, “un’omo senza fronzoli”, detto alla pratese.

Con questa breve introduzione, cercherò di raccontare, senza la presunzione di essere esauriente e storicamente esatto, le gesta meno note e il carattere del Datini, o meglio, Francesco di Marco da Prato come lo chiamavano i pratesi di allora. Visto la vastità degli argomenti trattati, abbiamo suddiviso in capitoli la biografia di Francesco. 

LA SCOPERTA DEI CARTEGGI

E’ noto che presso l’ Archivio di Stato di Prato, sono custodite carte e documenti del mercante pratese Francesco di Marco Datini. Autorevoli esperti medievisti e scrittori hanno pubblicato fino ad oggi circa 260 libri e decine di altre pubblicazioni di carattere scientifico. 

Nel romanzo di Ken Follett, “Mondo senza fine”, si cita la presenza dei mercanti “…di Prato e Firenze” in Inghilterra; quello di Prato è senz’altro il nostro Francesco. Perché le carte del Datini sono così importanti? Tutto ha inizio con il testamento del mercante, redatto dallo stesso pochi anni prima della sua morte.

Il Sottoscala dove fu ritrovato l'archivio.
Sottoscala di Palazzo Datini dove vennero ritrovati i carteggi

Egli scrive precise indicazioni per la conservazione di tutte le lettere ricevute e spedite nella sua lunga vita. Tali istruzioni non vennero però osservate scrupolosamente. Sebbene si abbia ricordo nel 1560 che le carte e i libri del Datini erano conservati negli armadi della sua dimora, 300 anni dopo, nel 1870, l’arcidiacono Martino Benelli ne ritrovò una parte in un polveroso ripostiglio del sottoscala di casa Datini; solo questo, meriterebbe una produzione cinematografica!

La notizia fece il giro del mondo culturale e si decise di procedere a un nuovo riordino iniziato da Don Livio Livi e terminato nel 1910 dal professor Giovanni Livi, che in seguito pubblicò una monografia dal titolo “Dall’Archivio di Francesco Datini, mercante di Prato”. Quello che videro i contemporanei fu stupefacente, incredibile.

Immagine - Libri - Archivio di Stato di Prato.
Libri e documenti storici nell'Archivio di Stato di Prato

Un archivio composto da 150.000 lettere suddivise tra corrispondenza privata e d’affari, i documenti scritti delle filiali di Avignone, Prato, Pisa, Firenze, Genova, Valenza, Barcellona e Maiorca, 550 libri contabili, 300 contratti di società, 400 contratti di assicurazioni e migliaia di polizze di carico, lettere di avviso, contratti di vendita, lettere di cambio, assegni e alcune decine di “quadernacci e ricordanze”.

Una fotografia dettagliatissima su usi e costumi dell’epoca. Si trovano notizie su l’alimentazione, abbigliamento, nozioni di agricoltura, galateo, salari dei sottoposti e decine di altri argomenti. La scrittrice Iris Origo nel suo libro Il Mercante di Prato non esita a definire il nostro archivio come: “… una testimonianza del commercio medioevale impareggiabile per la sua completezza e omogeneità”. Nel 1955 Federigo Melis (famosissimo studioso di economia medievale), allestisce a Prato “La mostra internazionale dell'Archivio Datini” la cui straordinaria importanza fu sottolineata dalla presenza di ben due Presidenti della Repubblica; quell’uscente Luigi Einaudi e quello entrante Giovanni Gronchi.



La manifestazione ebbe un eccezionale successo e lanciò il nostro Francesco all’attenzione mondiale. Oggi, il sito web dell’Archivio Datiniano far parte del “Listed on UNESCO Archives Portal”. Sull’onda del trionfo della mostra Internazionale, il Melis fondò nel 1967 l’Istituto Internazionale di Storia Economica F. Datini, considerato la più importante istituzione internazionale operante nel campo della storia economica dell’età preindustriale (XIII-XVIII secolo).

Fin da subito aderì Fernand Braudel, considerato uno dei massimi storici del secolo scorso e un importante gruppo di studiosi che andarono a costituire il primo comitato scientifico. Dal 2007, l’Istituto è anche Fondazione con circa 10.000 soci; possono aderire anche cittadini privati.

IL RITORNO A PRATO DOPO GLI ANNI DI AVIGNONE 

Francesco Datini è un uomo che viaggia per l'Europa del tempo in un contesto storico e sociale ben preciso.

Nella vita del Datini la città di Firenze ha un ruolo fondamentale, non ci tragga in inganno l’importanza e la magnificenza della città del Battista, perché il Datini non era certo un uomo da tali futili vezzi, ed ebbe a lamentarsi più volte su l’atteggiamento molto spesso vessatorio che il potere politico di quella città aveva nei confronti dei mercanti.

Le cause del suo legame vanno ricercate nella complessa storia di Prato e della sua agonia di libertà. E’ bene ricordare che Prato perse la sua autonomia, il 23 Febbraio 1351, quando Firenze comprò dalla regina Giovanna, nipote di Roberto d’Angiò, la “Pratensis libertas” e “presa la tenuta, incontamente levò (Firenze) le signorie, gli ordini e gli statuti de’ Pratesi e recò la terra e il contado a contado di Firenze, e diede l’estimo e le gabelle a quello comune come a’ suoi contadini”. Il pratese Giuseppe Marchini, storico dell’arte, dirà nelle sue Arti Figurative a Prato: "La perdita della libertà con la consegna alla repubblica fiorentina, avvenuta nel 1351, fu per Prato un fatto più importante e fatale della stessa pestilenza del 1348 che l’aveva desolata al pari di quasi tutta l’Europa”.

L’assoggettamento a Firenze comportò pesantissime conseguenze su tutti i campi della vita civile di Prato. Iris Origo nel suo “Il Mercante di Prato" ci dice: "Firenze obbligò i pratesi a fortificare a proprie spese la città, pagare gabelle, ad accettare pubblici ufficiali scelti dai Priori fiorentini, a mandare uomini, armi e denaro a Firenze per le sue guerre, ad aprire le porte, senza esigere gabella, alle merci fiorentine, e inoltre anche per la vendita della propria mercanzia dai mercanti dell’altra città. I panni di Prato erano venduti a Firenze oppure all’estero da mercanti fiorentini”. Con queste difficili condizioni, dove il libero commercio era fortemente condizionato dalla città vicina, il Datini fu costretto per causa di forza maggiore ad aprire bottega in Firenze per poter vendere tessuti prodotti a Prato.

Francesco Datini nacque in Porta Fuia (nel quartiere di S. Maria) intorno al 1335. La sua non fu certo un’ esistenza tutta rose e fiori ed ebbe a soffrire delle frequenti epidemie di peste che puntualmente si abbattevano sull’ Europa. Nel 1348, infatti, morirono per via del letale morbo, suo padre Marco di Datino, sua madre monna Vermiglia e due fratelli: Nofri e Vanna.

Immagine - 2017 - Mura di Prato - Vicino Porta Fuia
Tratto di mura nei pressi di Porta Fuia

Francesco e il fratello superstite, furono affidati a Piero di Giunta del Rosso, che ne curò la piccola eredità lasciatagli dai genitori. Fu però Piera di Pratese Boschetti ad accoglierli in casa e accudirli come figli. Il Datini fu sempre riconoscente a monna Piera e la considerò a tutti gli effetti come una seconda madre. Un anno dopo la morte dei genitori, Francesco si trasferì a Firenze, dove lavorò come garzone in alcune botteghe di mercanti. Qui sentì parlare della fantastica Avignone (allora sede Papale), e delle smisurate opportunità di lavoro che la corte papale offriva. 

All’età di 15 anni partì alla volta di Avignone per cercar fortuna. La città al quel tempo era ricchissima di commerci e crocevia di tante strade e vie fluviali (valle del Rodano). Nei suoi mercati si poteva trovare di tutto: lane e panni dall’ Inghilterra, dalle Fiandre. Qui, mercanti di Pisa compravano le lane inglesi e fiamminghe e rivendevano pregiatissimi tessuti toscani.

Il Datini si dette un gran da fare e in breve tempo accumulò una grande fortuna. Commerciò tutto quello che era possibile. Nella sua bottega più importante si poteva acquistare anelli per matrimonio, fili per cucire, arredi per camere da letto, tovaglie da tavola, armi varie, sale, quadri, insomma come un gran bazar moderno.

Se nell’attività di mercante, Francesco dedicò molto tempo, altrettanto lo fece nel settore delle relazioni umane, infatti, sono noti alcuni figli naturali (avuti, non in ambito matrimoniale), concepiti durante incontri con giovani fanciulle del luogo. 

I contatti con Prato non furono mai interrotti (nel 1354 fece comprare dal suo amico Piero del Giunta un casolare sul canto del Porcellatico, il futuro Palazzo Datini) e moltissime lettere spedite e ricevute testimoniano il grande legame che il Datini aveva con la sua terra natia, in particolare con la madre adottiva monna Piera.

La prima cartella dell’ Archivio Datini, contiene la corrispondenza privata con monna Piera dal 1371 al 1382 dalla quale emerge il carattere del Datini stesso. Iris Origo racconta: "Dalle lettere di Francesco risulta evidente il suo carattere: un misto di arroganza e di orgoglio per la fortuna che aveva messo da parte con le sue mani, di furbizia e buonsenso accompagnati da una generosa ma prepotente bontà verso Monna Piera. A ciò si univa il suo fermo proposito, ora che aveva fatto fortuna, di ritornare stabilmente a Prato, per starsene finalmente tranquillo”.

Da parte sua, Monna Piera, disperata per la lontananza di Francesco, scriveva struggenti lettere per convincerlo a tornare a casa e sposarsi. Per parecchio tempo, il mercante pratese fu sordo ai consigli e alle richieste di amici e parenti, doveva prima sistemarsi economicamente e avviare le sue attività commerciali a un’autonomia che gli avrebbe permesso di trovare il tempo di metter su famiglia.

Dopo anni d’incessanti richieste, Datini si decise a sposarsi. Lo fece ad Avignone (anche se lui chiese che gli fosse trovata moglie a Prato), nel 1376, si sposò con Margherita di Domenico Bandini, fiorentina residente in Avignone, di circa diciotto anni; Francesco ne aveva circa quaranta.

Di lei si scriveranno bellissime pagine e sarà al centro di continue attenzioni da parte di ricercatori moderni. Nel 1378, Roma riacquistò la sede del Papato e Avignone, lentamente, iniziò a perdere d’importanza. Francesco, che nel frattempo aveva costituito una forte e solida compagnia e un consistente patrimonio (circa 5.000 fiorini), decise che era giunto il momento di tornare a Prato.

Così nel 1382 affidò a due suoi collaboratori la compagnia e se ne tornò a Prato compiendo un avventuroso viaggio durato 33 giorni.

LE COMPAGNIE COMMERCIALI DATINIANE

Quando Francesco Datini  arriva a Prato la città già lo conosce come ottimo e ricco mercante, tanto che lo soprannominano: Francesco il ricco. Le celebrazioni di benvenuto si sprecarono per lungo tempo, ma il rapporto con i pratesi e soprattutto con il comune (e da ricordare che lo stesso era sotto il dominio dei fiorentini già dal 1351), non è sempre idilliaco, anzi tutt’altro.

Gli incarichi pubblici di Francesco Datini

Tuttavia egli è costretto da causa di forza maggiore ad accettare la carica di Consigliere comunale e poco tempo dopo anche quella di Gonfaloniere di Giustizia. Francesco non ama per niente questi incarichi e più volte si lamenta del tempo tolto agli affari dicendoci :” "infine, acetai e feci l'uficio: e, per non perdere tempo, chome usciva d'uficio, io faceva murare dì e notte, per acon(c)iarmi in chasa: ed eravi tanto diligiente, che sempre cenava alla mezanotte; e chi m'avesse voluto dare danari, io no' lgli arei tolti." Per lui intrattenere rapporti con intriganti membri comunali è sempre pericoloso; si corre il rischio di far conoscere troppo lo stato patrimoniale e quindi incessanti richieste di denaro.

Appena arrivato a Prato dunque, ultima i lavori del suo bellissimo palazzo e fonda quell’organizzazione che gli esperti chiamano sistema aziendale. Spiegarne il funzionamento è impresa ardua e mi limito solamente ad elencarne le strutture principali. A capo di tutto c’è ovviamente il Datini stesso, seguono poi le Aziende-Compagnie con le quali gestisce tutto il suo traffico mercantile. Ad esempio, la Compagnia di Barcellona è così strutturata: nella città catalana c'è la sede centrale, a Valenza e Maiorca le due filiali, da quest’ultime s’irradiano sul territorio, rappresentanze e distaccamenti minori.

Ogni Azienda-Compagnia è condotta da un proprio collaboratore ed ha autonomia giuridica, di risorse patrimoniali e scelte commerciali, ciascuna di loro però è legata totalmente al Datini stesso (a cui tutto il sistema fa riferimento). Tutte le aziende lavorano nella logica del sistema, collegandosi, agendo e organizzandosi tempestivamente tra di loro tramite la fittissima corrispondenza con Francesco Datini.

Tutto e tutti è sotto gli occhi del severissimo e preciso mercante. La procedura per creare nuove Compagnie ha una lunga prassi di formazione, infatti si distacca sul luogo un proprio fidato che comincia a lavorare appoggiandosi ad una compagnia corrispondente; in un secondo momento, se le cose vanno bene si costituisce l'azienda affidandola al collaboratore stesso, oppure ad un fattore che preleva dalla compagnia d’appoggio, infine se i guadagni e la conduzione della nuova Compagnia funzionano, il Datini se li fa soci entrambi.

In questo modo si assicura la correttezza dei collaboratori (perchè proprietari anch’essi) e limita almeno in parte le “furbizie” e gli inganni possibili in questi casi.

DATINI E LE SUE PROPRIETA'

La terra e i suoi prodotti, l’orto del nonno o dello zio, quanti di noi hanno partecipato alle vendemmie o alla raccolta delle olive, oppure, più semplicemente assaporato il gusto genuino di un frutto coltivato con amore e dedizione quasi religiosa. Un’antica tradizione che trova le sue origini nella notte dei tempi dove l’uomo aveva con la terra, un rapporto come tra madre e figlio.

Francesco Datini non fu certo il precursore di questa tradizione, ma certamente fu un ottimo testimone e discepolo. Tra i suoi documenti traspare un legame profondo con la terra e i suoi tesori, un po’ come per i nostri nonni che per generazioni l’hanno lavorata duramente per riceverne generosi frutti.

Tra le tante attività del Datini, quella che svolgeva nella sua fattoria del Palco era tra le preferite. Sembra impossibile che l’attivissimo mercante pratese, sempre dedito al commercio e alla produzione di tessuti, avesse tempo da dedicare alla terra e al suo lento ciclo stagionale.

Delle oltre 20 case di sua proprietà sparse in tutta Prato, ne aveva una che miracolosamente è giunta fino ad oggi: la villa del Palco. Attorno al 1392, decise di comprare un terreno ai piedi di Filettole, e costruirvi quasi di persona, una grande fattoria ove si producesse tutto il necessario per la sua esigente dieta.

All’interno di quest’appezzamento, c’era una piccola casetta appartenuta alla famiglia di sua moglie Margherita, nelle cui vicinanze esiste tuttora una notissima fonte: la fonte Procula, legata a San Proculo con una bellissima leggenda. Per rendere meglio l’idea dell’uomo del tempo, ma anche di quello odierno, ci aiuta l’immancabile Iris Origo nel suo libro sul Datini, dicendo: "Ma non c’e’ toscano nel cuore del quale non si sia radicata la convinzione che la sola vera ricchezza, la sola garanzia di sicurezza stia nella terra.”

Da questa villa e dai numerosi appezzamenti con casa colonica per i contadini, Francesco aveva tutto il necessario per vivere. Quando era a Pisa o a Firenze per affari, si faceva spedire da sua moglie Margherita, grano, olio, vino, anatre, piccioni, uova e le buonissime anguille del Bisenzio di cui il Datini ne era ghiotto.

Con l’aumento dei raccolti, il nostro mercante entrava in una sorte di frenesia e smania incontrollabile. Si dava un gran da fare per ampliare i granai, le stalle per i vitelli, ovili, porcili e colombaie, curando di persona i lavori di costruzione e molto spesso entrava nella squadra dei suoi muratori.

Di questo periodo ci sono giunti simpatici scambi di lettere con la moglie Margherita, il suo amico Ser Lapo Mazzei e di suo cognato. Quest’ultimo gli scriveva: "Voi dite siete riscaldato un poco di febbre e la cagione, il perché ho inteso. E niuna meraviglia n’o’ auta a modi disordinati che tenete, del durare fatica di soperchio, al caldo e al freddo, e sanza niuno risparmio, e del non mangiare, ne a ora ne a tempo, a al vivere con tanta sollecitudine e rancore e dispiacere e malinconia.”.

Oltre a tutta questa fatica, si aggiungevano ogni tanto piccoli incidenti di cantiere, come quella volta che gli cascò una tegola sulla testa e il giorno successivo inciampò ferendosi ad una gamba. Come al solito furono inutili i continui appelli alla prudenza da parte dei suoi familiari; Francesco non aveva orecchi per nessuno in queste cose.

Un altro aspetto insolito dell’illustre pratese era quella cura e attenzione che rivolgeva ai suoi coloni. In alcuni documenti si legge di migliorie fatte per le case dei coloni stessi, suscitando scandalo e meraviglia nei contemporanei. Un altro episodio curioso, legato anche alla fattoria del Palco, fu durante la guerra tra Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, e la signoria fiorentina.

Le campagne toscane erano funestate dall’esercito di Alberico da Barbiano, condottiero al soldo del Signore di Milano, il suo obbiettivo era di conquistare Firenze e consegnarla in mano ai milanesi. Quando i reparti furono vicino a Prato, il Datini, visto il pericolo di saccheggi e distruzioni, fece trasferire in città, tutte le masserizie e i vettovagliamenti disponibili presso le sue tenute, e ne distribuì gran parte ai pratesi.

La paura fu talmente grande che decise di ospitare in casa sua, alcune famiglie di contadini che prestavano opera presso i suoi terreni. Alla sua morte, avvenuta nel 1410, il mercante pratese donò la villa del Palco ai frati Francescani che la convertirono in convento.

LA MOGLIE MARGHERITA BANDINI


Immagine - Margherita Datini - Dipinto - Tabernacolo della Romita
Margherita Datini
Francesco Datini dopo anni e anni d’insistenze da parte di amici e parenti, decise di sposarsi e metter su famiglia. Come uso e costume dell’epoca, fu lui a scegliersi la sposa (Margherita Bandini) facendolo in maniera del tutto inaspettata. Era normale che a quell'epoca (ma anche fino a poco tempo fa!), si cercasse una donna che potesse offrire una ricca dote e fosse di nobili origini. 

La scelta del Datini, “spiazzò” tutti perché le virtù che cercava nella sua futura moglie furono ben altre: giovinezza, bellezza, onestà e indiscutibili qualità morali. La scelta ricadde su Margherita di Domenico Bandini, fiorentina.

La famiglia di Margherita cadde in disgrazia da quando il padre Domenico fu accusato di tradimento dal governo fiorentino e per questo gli fu tagliata la testa e confiscato tutti i beni materiali. La moglie Dionora, Margherita e le sorelle fuggirono dunque ad Avignone senza una lira in tasca. Qui conobbero il Datini, il quale nel Carnevale del 1376 sposò Margherita; lui aveva 41 anni e lei 16 o 18. Il matrimonio si celebrò con grande sfarzo.

Il matrimonio a Avignone

La lista delle vivande comprendeva: 406 pagnotte, 250 uova, 50 chili di formaggio, due quarti di bue grosso, e 16 mezzi quarti di montone, 37 capponi, 11 galline e 2 teste e piedi di porco in gelatina, oltre a portate minori di piccioni e di pivieri, ma anche da raffinati vini della Provenza e da ottimi vini toscani, tra cui il Carmignano.

Il ritorno a Prato

Il ritorno a Prato dei coniugi Datini, coincise con l’ultimazione dei faraonici lavori della casa al Canto al Porcellatico e l’inizio della fitta corrispondenza tra i due. In questo frangente, vediamo un Datini insospettabile e piuttosto “spendaccione”, infatti, non badò a spese per casa sua ed esaudì ogni desiderio di Margherita per quello che riguarda l’arredo. Alla fine dei lavori, la cifra sborsata per la casa, il fondaco e il giardino, fu di oltre 6.000 fiorini; una follia!

La lontananza dal marito

Nel 1383, Francesco fondò le società di Pisa e Firenze, le quali lo tennero lontano da casa per lungo tempo. Per Margherita, si prospettò un periodo difficile come ci racconta in maniera chiara e lucida la Dottoressa Diana Toccafondi dell’Archivio di Stato di Prato: ”La lontananza del marito con la conseguente mortificazione delle aspettative affettive e sessuali, l’essere da un lato investita di compiti pesantissimi (maschili, si direbbe) per la gestione di una casa che è insieme un’azienda e un cantiere sempre aperto, e dall’altro non riuscire, nonostante tutto a guadagnarsi la fiducia del marito”.

Malgrado ciò, Margherita Bandini non fu certo donna debole e succube: “Una Margherita tutt’altro che oppressa e “vittima” del marito: una donna vivace, pratica, intelligente, che sa il fatto suo e lo espone “senza peli sulla lingua” al marito, agli amici e dipendenti, ai quali tiene testa egregiamente, dignitosamente, facendosi amare e rispettare: non una povera donna melanconicamente sepolta fra vuote e freddi pareti domestiche, in uno oscuro annientamento di sé, ma una brava moglie, energica, vivace, fedele, amorosa e, naturalmente, che vuole e può dire la sua parola ammonitrice, esprimere i suoi disappunti e giudizi”.

Ginevra la figlia illegittima

Oltre all’opprimente ambito in cui viveva, si aggiunga che Margherita doveva convivere con la tristezza di non poter avere figli e per questo ne soffrì molto. La reazione di Francesco non fu delle migliori, lontano da casa e preso dai suoi affari, ebbe diversi figli illegittimi tra cui Ginevra, figlia di una serva e alla fine adottata e cresciuta proprio da Margherita.

Margherita Bandini impara a scrivere

L’unico di modo per Margherita di comunicare con suo marito – perennemente lontano da casa – fu la scrittura. Inizialmente, essendo analfabeta, si servì degli scrivani, i quali, pur scrivendo in maniera corretta, non riuscivano a “illustrare” ciò che la moglie aveva da dire al marito; non erano di certo lettere commerciali!
Da questa ennesima sofferenza, Margherita ne uscì in maniera brillante imparando a leggere e a scrivere:”…per quel suo orgoglioso, anche se tardo, avvicinarsi al mondo della scrittura vera e propria. Così facendo, ella tenta un’emancipazione da quella mediazione dello scrivano (due volte umiliante, perché servile e maschile insieme) sentita come un’intromissione nel suo mondo privato di donna, e che, nella comunicazione con il marito, spesso la costringe a dire e non dire, a rilevare e a celare…”, anche quando il Datini si avvicinò alla fine dei suoi giorni, Margherita, richiamava continuamente il marito a non :”affannarsi a lavorare e guadagnare che divora l’anima e il corpo, che rende inutile e vuoto il tempo della vita…”.

Quando nel 1410 Francesco muore, Margherita trascorre gran parte del suo tempo a Firenze con Ginevra (la figlia illegittima del Datini).
L’unico ritratto di Margherita che ancora oggi si conserva, anche se la ritrae già anziana, lo possiamo vedere nel refettorio di San Niccolò a Prato.

Margherita di Domenico Bandini, muore a Firenze nel 1423, la sua salma riposa in Santa Maria Novella. Nel suo testamento espresse chiaramente la volontà di essere sepolta accanto al marito, ma non fu accontentata. Chissà se un domani qualcuno possa esaudire il suo ultimo desiderio.

L'AMICO SER LAPO MAZZEI

Un conoscente, una richiesta d’aiuto e un amico per tutta la vita. Così possiamo parlare della profonda amicizia, nata per caso, tra Francesco Datini e Ser Lapo Mazzei.

Un’amicizia dettata non da reciproco interesse, ma da sincera stima e anche curiosità. Da un lato il ricco mercante totalmente immerso nei suoi affari e poco avvezzo a riflessioni sul mondo spirituale, dall’altro un uomo semplice, amante della natura, religioso e poco incline alla mondanità da cui se ne tenne costantemente lontano.

Un’amicizia all’apparenza incomprensibile, ma come dice l’Origo per Ser Lapo: “... fondata forse sull’attrazione degli opposti, sul fascino che l’ardimento suscita nell’uomo timido, tranquillo e casalingo, attratto dal vigore e dall’avidità di una persona intraprendente.”

Nel 1373 Francesco Datini ricevette una lettera dal suo amico Andrea Matteo Bellandi, nella quale chiedeva di aiutare un giovane e promettente studente di Prato. Il ragazzo era povero di mezzi e necessitava denaro per continuare gli studi. Datini, che non era nuovo a questo genere di cose, decise di finanziare quella che noi oggi chiamiamo una Borsa di Studio. Il giovane in questione era Ser Lapo Mazzei, quello che in futuro diverrà l’amico più intimo di Francesco.

Ser Lapo nacque da una famiglia povera di Carmignano nel 1350, fu sempre orgoglioso delle sue umili origini e spesso amava definirsi “il pecoraio di Carmignano, procuratore dei carmignanesi”. Seguì gli studi di Diritto presso l’Università di Bologna e poco più che ventenne lo troviamo come giovane apprendista notaio nel comune di Prato.

E’ qui, che il Datini lo riscoprì. Tornato da poco nella città laniera, Francesco fu eletto Gonfaloniere del Comune e un bel giorno si ritrovò nelle mani una lettera di un notaio indirizzata agli Otto della Signoria di Prato.

La missiva era scritta in maniera impeccabile e precisa, s’informò allora dell’autore e scoprì con piacere che si trattava proprio del giovane studente che aveva aiutato 10 anni prima. Dal quel momento in poi, il carmignanese divenne notaio personale dell’ "azienda” Datini e prezioso “consulente” per le frequenti vertenze che Francesco aveva con il fisco.

In molte occasioni fu vittima d’incessanti e talvolta illegittime richieste di denari da parte dell’amministrazione fiorentina, in più di un’occasione, l’amico notaio, riuscì a tirarlo fuori da pericolose situazioni.

Nelle tante lettere che si spedivano, traspare un’amicizia sincera, spesso simpatica e ricca di scherzose “canzonature” reciproche. Un giorno, mentre il Mazzei ne leggeva una, scoppiò a ridere suscitando fastidio nella moglie: “Voi siete due grandi fraschieri, in brieve; e godiate voi insieme, dell’altro poco vi curate”.

Quel “godete voi insieme” era veramente preso alla lettera dai i due, infatti spessissimo si incontravano per condividere i piaceri della buona tavola e sopratutto quello per l’ottimo “brillante di Carmignano” vino sapientemente ottenuto dalle pregiate uve di Ser Lapo.

Oltre ad essere un valente notaio, Lapo Mazzei, fu anche un grande intenditore di vino, aveva vigne a Carmignano e Grignano di Prato, in una lettera datata 1398, lo stesso Ser Lapo, usa per la prima volta la definizione Chianti per un certo vino.

Fu autore di numerosi scritti su come coltivare le vigne per ottenere ottimo vino. La sua passione per l’enologia fu tramandata per generazioni e oggi, Carmignano e il suo celebrato vino, devono sicuramente molto al suo più importante antenato.

Ser Lapo Mazzei muore due anni dopo Francesco, poco più che sessantenne; nei registri dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze si legge: “Morì Ser Lapo di’ 30 d’ottobre 1412, ed era stato infermo circa a mesi sette. Dio gli abbia facto perdono.”

GLI OSPITI  DEL PALAZZO E L'EREDITA'

Siamo giunti alla fine della vita di Francesco Datini, una vita piena di ricchezze e successo. Solo un grande inconsolabile dramma attanagliò il cuore e l’anima del grande mercante pratese: la mancanza di figli. Nel 1410, quando Datini muore, lascia un’ eredità di circa 100.000 fiorini; un’immensità! Oltre al denaro, lascia numerosissime proprietà terriere e altrettante case, tra cui il bellissimo palazzo Datini di Prato.

Fu certamente uomo del suo tempo, sfruttò al massimo le opportunità che la situazione politica del tempo offriva. Il rapporto con i pratesi non fu mai idilliaco, ma il palazzo di Prato, la Villa del Palco e l’eredità lasciata ai poveri di Prato, testimoniano il suo affetto verso la città e il suo territorio; se a Prato non fosse stato bene, avrebbe scelto un'altra dimora. 

Gli ultimi 9 anni della sua vita, il Datini li passò a Prato e Margherita lo ebbe finalmente quasi sempre con sé. In questo periodo la moglie lo supplicava di lasciar perdere gli affari e dedicarsi alla cura dello spirito. Gli ricordava continuamente la dura lezione di vita che la peste aveva dato a tutti loro; pochi anni prima, il terribile morbo, portò via quasi tutti gli amici e collaboratori del mercante facendolo spaventare molto.

Datini, scosso terribilmente da tali perdite, seguì i consigli della moglie e si dedicò alla preghiera e alla cura dell’anima, partecipò alle messe e alle ricorrenze religiose. Ma non durò molto, la sua smania di fare e la sua incessante attività doveva in qualche modo trovare sfogo e cominciò a costruire non cappelle e chiese, come Ser Lapo lo consigliava, ma nuove case per i suoi lavoranti e nuovi magazzini per i frutti dei suoi poderi.

La sua vita sociale addirittura rinvigorì decisamente e la sua casa di Prato, notoriamente ospitale, attirò visite d’illustri personaggi. Tali visite richiedevano faticosi preparativi e complessi cerimoniali e niente era lasciato al caso, dal menù alla lettera di benvenuto. Per quest’ultimo motivo Francesco, si faceva spedire dai suoi amici citazioni scritte da imperatori, cardinali, papi, perchè: ” quando io avessi a soscrivere una lettera a uno o un altro, non avesse ogni volta pensare”. 

Gli Ospiti Illustri

Tra i “rifornitori” di rime e citazioni vediamo personaggi illustri come Chiara Gambacorti che in seguito diverrà Beata Chiara Gambacorta, Sua Eminenza Baldassarre Cossa il futuro Papa Giovanni XXII e alcuni patrizi veneziani e genovesi tra cui Simone Doria. Anche la lista degli ospiti contiene nomi eccezionali quali: Francesco Gonzaga Signore di Mantova, Leonardo Dandolo, ambasciatore di Venezia in Toscana e figlio del Doge. Chi passava per l’Etruria, Prato rappresentava una tappa obbligata per la presenza del Sacro Cingolo Mariano. Francesco era conosciutissimo in tutti gli ambienti politici ed economici dell’Italia del '400 ed era a lui che si chiedeva ospitalità; quale miglior rappresentante della città laniera!

La Visita del Re di Francia

Ma la visita più importante che Francesco ricevette e quella di re Luigi II d’Angiò. Il 4 Luglio 1410, infatti, l’imperatore fu di passaggio a Prato per la seconda volta, in occasione di una sua nuova discesa verso l’Italia centrale. il Re ne approfittò per rendere omaggio al Cingolo della Madonna e acquistò dodici canne di panno scarlatto di Prato.

Il Datini dette il meglio di sè, lasciando completamente a disposizione del Re la sua bellissima casa. In segno di gratitudine per l’ospitalità ricevuta da Francesco, Luigi II elargì un decreto reale che concedeva al mercante pratese il diritto di aggiungere alle sue armi il giglio d’oro di Francia

La Morte e il Testamento

Pochi giorni dopo la partenza di Re Luigi II, il Datini, che da tempo soffriva di disturbi renali, si aggravò ulteriormente e chiamò al suo capezzale Ser Lapo Mazzei, 2 notai e 5 frati francescani e stese il suo definitivo testamento. Francesco di Marco Datini muore nella sua casa di Prato il 16 Agosto 1410. Nel suo testamento dispone che con tutto il suo patrimonio sia costituito un’istituzione, la celebre “Casa del Ceppo dei Poveri di Francesco di Marco” per assistere i poveri di Prato, inoltre precisa che la fondazione non doveva restare: ”in niuno modo sottoposta alla Chiesa o ecclesiastici”.

1000 Fiorini per l'Ospedale degli Innocenti di Firenze

Tra i doni lasciati a chiese e monasteri c’è quello di 1000 fiorini d’oro allo Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze: ”per principiare un nuovo luogo pe i gittatelli”; il futuro Ospedale degli Innocenti. Altri 300 fiorini per 12 lampade d’argento per la Cappella della: “preziosa Cintola di nostra Dama regina del cielo, nella pieve della Terra di Prato.”

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Iris Origo: Il Mercante di Prato, Rcs Rizzoli libri
Giuseppe Marchini “Le arti figurative a Prato” edizioni Cassa di risparmio e depositi di Prato 1980, Guido Pampaloni “Prato nella Repubblica fiorentina” edizioni Cassa di risparmio e depositi di Prato 1980. Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini" . 
Archivio di Stato di Prato http://datini.archiviodistato.prato.it/margherita/index.htm